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Il Regno Unito rischia un esodo di massa degli accademici europei dopo la Brexit, riscontra il report.

Un terzo degli insegnanti di lingue e economia vengono dall’Unione europea, i quali hanno bisogno di una maggiore chiarezza sul loro status, afferma lo studio della British Academy.
Il rischio potenziale per le università britanniche della partenza degli accademici dopo la Brexit è stato messo a nudo in un report che rivela che ci sono regioni dove più della metà dello staff accademico in alcuni dipartimenti ha nazionalità europea.
Il report della British Academy avverte che i dipartimenti di economia e di lingue moderne sarebbero colpiti in maniera particolarmente negativa se gli accademici europei abbandonassero il Regno Unito, con più di un terzo del corpo docenti in ogni disciplina che viene attualmente da paesi membri dell’Unione europea.
Il rischio è particolarmente accentuato nell’Irlanda del Nord, dove un quarto di tutto il corpo docenti - di tutte le materie – viene da paesi europei, mentre nelle Midland occidentali quasi la metà degli insegnanti di lingue moderne ha la cittadinanza europea.
Le università britanniche hanno avvertito il governo che rischiano di perdere uno staff talentuoso di origine europea, il quale ha bisogno di una maggiore chiarezza sui propri diritti dopo la Brexit se decide di rimanere nel Regno Unito.
Attualmente la British Academy, che è la voce pubblica per gli studi umanistici e le scienze sociali, ha elencato le materie più a rischio in seguito alla continua incertezza riguardo alle regole in materia di immigrazione dopo la Brexit.
Prime nella lista “a rischio” sono economia e lingue moderne, con il 36 % degli economisti e il 35% degli accademici nei dipartimenti di lingue moderne che provengono da paesi europei. Seguono matematica (29%), fisica (28%), lettere classiche e ingegneria chimica (26%) e politiche e relazioni internazionali (25%).
Il report, “Brexit means...”, avverte che gli studi umanistici e le scienze sociali saranno maggiormente colpiti da qualunque tipo di cambiamento dannoso nelle regole in materia di immigrazione dopo la Brexit. Sei delle dieci materie “a rischio” con la più alta proporzione di insegnanti europei non britannici fanno parte degli studi umanistici o delle science sociali.
Il professore Ash Amin, capo del dipartimento di geografia dell’Università di Cambridge e segretario straniero per la British Academy, ha affermato: “È fondamentale che il governo intervenga e ponga fine a questo stato di incertezza. Il report attuale raffigura precisamente cosa c’è in ballo: la posizione del Regno Unito in quanto leader mondiale nell’educazione superiore e nella ricerca”.
“Il fatto che il Regno Unito attiri una così alta percentuale di staff dall’estero è uno segno della competitività negli studi umanistici e delle scienze sociali. Molte persone che fanno parte di questi talenti si staranno chiedendo: vedo un futuro per la mia carriera in questo paese?
Ci stiamo rivolgendo al governo per garantire il diritto di rimanere indefinitamente a lavorare qui per gli accademici europei non britannici e per le persone a loro legate”.
Quasi 40000 insegnanti europei non britannici lavorano attualmente nelle università britanniche, i quali costituiscono il 12% di tutto lo staff equivalente a tempo pieno nel settore dell’educazione superiore. La maggior parte di loro lavora a Londra o nell’sud est dell’Inghilterra dove più di 17000 sono impiegati nelle università e quasi 45000 di loro lavora in Scozia.
In un diverso report pubblicato martedì, il British Council ha affermato che affinché il Regno Unito abbia successo nel dopo Brexit ci sarà bisogno di una spinta per migliorare lo studio delle lingue. Il cinese mandarino e l’arabo sono tra le lingue di cui il Regno Unito ha bisogno, così come lo spagnolo, il francese e il tedesco.
Il report, “Languages for the future”, rileva che soltanto un terzo dei cittadini britannici è attualmente capace di sostenere una conversazione in un’altra lingua, con un calo del numero di studenti che sceglie di imparare una lingua straniera moderna a scuola o all’università.
Dati ufficiali del Consiglio congiunto per le qualifiche hanno mostrato che c’è stato un calo del 7% del numero di alunni in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord che hanno passato gli esami di lingua GCSE nello scorso anno – e un calo dell’1% all’esame di maturità.
Vicky Gough, un consulente scolastico al British Council, ha affermato: “Le lingue sono di valore inestimabile per una generazione che sta crescendo in un mondo sempre più connesso. Se il Regno Unito vuole davvero diventare “globale” dopo la Brexit, le lingue devono diventare una priorità nazionale.
In un momento in cui le connessioni globali contano più che mai, è preoccupante il fatto che il Regno Unito sta vivendo un deficit linguistico. Noi non possiamo sopportare che l’apatia per il bisogno delle lingue continui e bisogna padroneggiare queste competenze. Se non agiamo per far fronte a questa carenza, siamo destinati a rimetterci sia a livello economico che culturale”.

Fonte: theguardian.com, 14/11/2017

Traduzione: Francesca Corsetti, stagista presso l'OEP